Nato da gatta randagia, il più piccino di quattro fratellini, faceva sentire i suoi miagolii da cucciolo quando la mamma si allontanava per procurarsi un po’ di cibo. Confinanti con il nostro giardino ci sono altri giardini, uno di una piccola fabbrica dismessa, un altro di una ditta operativa e un altro ancora di un condominio. Spazi verdi con qualche anfratto riparato dove un gruppetto di schivi gatti randagi, raramente visibili perché attivi per lo più di notte, vive una una vita nascosta, quasi impercettibile.
L’estate scorsa, come la precedente, ci siamo accorti della cucciolata. Venivano avvistati due tigrottini, un nerino e un pezzato vicino al capanno dietro il campo da tennis del nostro giardino. Il capanno è un buon riparo, ed è lì che portiamo cibo ed acqua per il gruppo felino. Verso la metà di settembre i micetti cominciano ad esplorare il territorio. E’ così che uno di essi, un tigrottino, resta separato dal gruppo perché il getto di un irrigatore automatico lo blocca. Con molta fatica lo catturiamo: è una femminuccia agguerritissima, che viene portata dalla veterinaria per i controlli di rito. La chiamiamo Xeena e troviamo subito una casa per lei.
Man mano che i giorni passano, i micetti diventano sempre più autonomi. Li osserviamo fuggire nella siepe che fiancheggia il tennis, salire agilmente sul tetto del capanno e da lì balzare nell’altro giardino dove è impossibile raggiungerli. Sfugge alla cattura il secondo tigrotto, il più grosso e veloce. Riusciamo a recuperare invece il più piccino: magro, tutto orecchie ed occhi. Non faremo poi altri tentativi di cattura. Contattiamo le associazioni, ma non si riesce ad organizzare nulla. Così gli altri cuccioli restano gatti liberi mentre ci occupiamo del piccolo: veterinario, annunci, ricerca di una famiglia. Lo chiamiamo Micetto, un nome un po’ indefinito nell’attesa che qualcuno gli dia la sua casa per sempre.
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